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Cinquant'anni dalla morte di Papa Giovanni XXIII

Pacem in terris, ottava lettera enciclica di Giovanni XXIII, datata 11 aprile 1963, è estremo documento di diuturno servizio sacerdotale e di limpida testimonianza, sigillato con sofferenze del corpo e dello spirito, riacutizzatesi mentre il pontefice si disponeva al breve tratto di strada, che l’avrebbe condotto alla morte il 3 giugno dello stesso anno.
A motivo di questa coincidenza, quell’insegnamento suscitò enorme impressione e venne accolto come il testamento che il Padre saggio e lungimirante destinava alla Famiglia umana, dilacerata da interessi contrastanti e da avversioni insensate ed implacabili.
A distanza di cinquant’anni, risuona ancora nell’aria il primo commento di quel testo magisteriale nell’eco persistente della voce amica: In questa enciclica, di mio c’è anzitutto l’esempio che volli dare nel corso della mia esistenza, sull’indicazione del piccolo libro della mia giovinezza: L’uomo pacifico fa più bene che il molto istruito (L’imitazione di Cristo, II, 3).
Egli non si arrogava titoli di maestro, di riformatore, di magico risolutore dei problemi sollevati dalla drammatica situazione del mondo. Pago di assolvere il suo primo dovere di catechizzare con amore e di camminare accanto a tutti i suoi simili, che ascoltava ed ammoniva, promosse senza alcun dubbio un’azione capillare per sostenere, contro l’istinto bellicoso, la possibilità della pace; si direbbe, l’ineluttabilità della pace...