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Trento Longaretti di GianMaria Labaa

Dovendo dire del significato e ruolo che Trento Longaretti ebbe alla guida della “Accademia di Belle Arti G. Carrara”, come oggi burocraticamente piace chiamare ciò che più amorevolmente è la Scuola della Carrara, mi viene subito alla mente quella breve e icastica dedica che i suoi allievi vollero scrivere sulla prima pagina del volume: “Diario d’Accademia, 1953-1978, La Scuola di Trento Longaretti”.
Il testo recita: “A chi più di altri, con intelligenza e pazienza, ha educato la nostra mano e ha aperto i nostri occhi, guidandoci alla scoperta del vero e alla comprensione del bello, noi tutti cinquecentocinquantotto suoi allievi dedichiamo”. È emozionante rileggere tali sentite parole, e c’è da chiedersi se un insegnante può ambire di più. È riconoscenza che si tramuta quasi in affezione, ed è sempre così quando l’insegnante è riconosciuto come “maestro”. Ed è anche significativo che egli sempre si è schernito di questo (non richiesto) attributo, affermando che maestri sono solo quelli di scuola elementare o di musica. Insomma per lui chiamare oggi un artista Maestro è come chiamare reverendo un prete: inutili moine!
Anche questo è insegnare, è richiamare alla sostanza (anzi all’essenza) delle cose, anche nei rapporti tra le persone.
Per tutti in Accademia fu pertanto e solo “il professore”, e come tale abilitato a giudicare e ad essere giudicato, poiché portatore di un sapere dialetticamente aperto a ogni giudizio com’è naturale che sia quello artistico. [...]